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domenica 13 luglio 2014

Please


"Non mi sembri la signora Rose Jorgersen"
"Avresti accettato un appuntamento se avessi dato il mio nome vero alla tua segretaria? Piuttosto carina tra le altre cose."
"Perchè sei qui Zoey? Lo sai che tua madre è nell'ufficio accanto, sai che non dovresti essere qui."
"Avevo bisogno di parlare con un professionista."
"Ti avevo dato il numero di una bravissima psicologa."
"Non volevo parlare con una psicologa, volevo parlare con te."
"Hai fatto scoppiare la bomba alla fine."
"Mi hai sempre detto che combattevo per le cose sbagliate. Ho capito che cosa intendevi grazie a un amico."

Gerard Ford, 52 anni. Psicologo. Mio padre

    Gerard Ford, 52 anni. Un uomo affascinante con i suoi capelli perfettamente rossi nonostante l'età e gli occhi azzurri che ti fulminano. Socio di mia madre, il mio psicologo per otto anni e... il mio vero padre biologico. Mi sorride compiaciuto, facendo segno di accomodarmi, non sul lettino, ma sulla poltroncina accanto alla sua. Va prima a riempirsi un bicchiere di scotch che me lo indica. Si è meravigliato quando ho accettato e, per poco, non gliel'ho strappato dalle mani. 

"Sei decisamente cresciuta. Quanti anni sono passati?"
"Sei."
"Sei..."
ripete pensieroso "ti donano i capelli biondi. Anche se ti preferisco rossa."
"Come i tuoi?"
ribatto secca guardandolo negli occhi.
"Come i miei." ribadisce annuendo e bevendo tutto l'alcol in un sorso. "Eva non sa che sei tornata su Eleria, vero?"

    Avevo solo scosso la testa rapidamente prendendo un sorso da quel liquido disgustoso. Avevo fatto una smorfia strana, prima di berne ancora un po'. Bruciava, ma non mi importava.

"Sono andata a parlare con l'avvocato dell'accusa. Abbiamo costruito insieme la linea di attacco."
"Perchè sei qui?"
"Testimonia per me."

Si era alzato di scatto andando verso la finestra, dandomi le spalle.

"Gerard, per favore." lo stavo supplicando con le lacrime agli occhi.
"Amo tua madre."
"E credi che dicendo quello che ti ho raccontato per otto anni, la perderai?"

Beveva con calma il suo secondo bicchiere con lo sguardo rivolto ovunque tranne che su di me.

"Sai com'è fatta. Se si sente tradita in qualche modo, si allontana. Si chiude a riccio e la si perde per sempre."
"Non se capisce che stai facendo il meglio per lei, e per voi."
"La fai facile."
"Ok, ed io?"

    Era rimasto con il bicchiere sospeso, a pochi centimetri dalle labbra, per qualche istante. Pietrificato. Aveva ingoiato tutto come se fosse stata una medicina miracolosa e si era voltato.

"Sono tua figlia! E non ti ho mai chiesto niente sino ad ora. E ti posso assicurare che sarà anche l'ultima cosa che ti chiederò.""Ci devo pensare."

    Quelle tre parole sono state come una pugnalata. Come al solito mi ero convinta che mi avrebbe aiutato ora che avevo avuto il coraggio di parlare, di gridare al mondo ciò che avevo subito. Inizio a domandarmi se sia la mia ostinazione a vedere il bene anche dove non c'è a procurarmi delle ferite che fanno fatica a guarire, o se siano semplicemente sbagliati gli altri a non avere le palle di dire le cose come stanno. Ma di gente così, ne è piena il Verse, purtroppo.